L'atto dell'acquisto (shopping) va oltre la semplice acquisizione di prodotti, perché i consumatori acquistano beni e servizi anche per ragioni esperienziali ed emotive.
Questo aspetto dello shopping è oggetto di indagine da parte di molti ricercatori (i.e. Jones , Bellenger e Korgaonkar) che hanno empiricamente stabilito come gran parte dei Consumatori di prodotti al dettaglio guardano al fattore ricreazione (entertainment) come chiave della loro maggiore predisposizione all'atto d'acquisto.
Le ricerche suggeriscono che “i retailers ed i loro progettisti dovrebbero sforzarsi di tentare di rendere lo shopping nei loro punti vendita un'esperienza divertente per differenziarsi dalla concorrenza” (Talmadge, 1995; Kim et al, 2005); Csaba e Askergaard (1999) hanno sottolineato la necessità di una orchestrazione di “esperienze nello shopping” alla luce dell'evoluzione dei centri commerciali in America. L’Esperienza di Shopping positiva porta ad una maggiore simpatia nei confronti del negozio, una predisposizione ad intrattenersi per un periodo di tempo maggiore (rispetto alla media dei negozi che non forniscono esperienze) nel punto vendita, uno scontrino medio più grande e una maggiore incidenza degli acquisti d’impulso, cioè non programmati (Babin et al, 1994).
Pertanto risulta cruciale aggiungere elementi che siano in grado di migliorare il quoziente d’esperienza nello shopping; Holbrook e Hirschman (1982), Kim et alt. (2005) hanno proposto modelli che vanno al di là di esperienze correlate alla mera elaborazione delle informazioni, aggiungendo la prospettiva esperienziale come un fattore determinante alla costruzione del vantaggio competitivo nel retailing. Il loro modello suggerisce il "fattore esperienziale" incentrato sulla natura simbolica, edonistica ed estetica del Consumo.
Alla luce di queste ricerche la "shopping experience" diventa pertanto "shopping entertainment".
Questo aspetto dello shopping è oggetto di indagine da parte di molti ricercatori (i.e. Jones , Bellenger e Korgaonkar) che hanno empiricamente stabilito come gran parte dei Consumatori di prodotti al dettaglio guardano al fattore ricreazione (entertainment) come chiave della loro maggiore predisposizione all'atto d'acquisto.
Le ricerche suggeriscono che “i retailers ed i loro progettisti dovrebbero sforzarsi di tentare di rendere lo shopping nei loro punti vendita un'esperienza divertente per differenziarsi dalla concorrenza” (Talmadge, 1995; Kim et al, 2005); Csaba e Askergaard (1999) hanno sottolineato la necessità di una orchestrazione di “esperienze nello shopping” alla luce dell'evoluzione dei centri commerciali in America. L’Esperienza di Shopping positiva porta ad una maggiore simpatia nei confronti del negozio, una predisposizione ad intrattenersi per un periodo di tempo maggiore (rispetto alla media dei negozi che non forniscono esperienze) nel punto vendita, uno scontrino medio più grande e una maggiore incidenza degli acquisti d’impulso, cioè non programmati (Babin et al, 1994).
Pertanto risulta cruciale aggiungere elementi che siano in grado di migliorare il quoziente d’esperienza nello shopping; Holbrook e Hirschman (1982), Kim et alt. (2005) hanno proposto modelli che vanno al di là di esperienze correlate alla mera elaborazione delle informazioni, aggiungendo la prospettiva esperienziale come un fattore determinante alla costruzione del vantaggio competitivo nel retailing. Il loro modello suggerisce il "fattore esperienziale" incentrato sulla natura simbolica, edonistica ed estetica del Consumo.
Alla luce di queste ricerche la "shopping experience" diventa pertanto "shopping entertainment".
Marketing emozionale e neuroscienze: progettare la Shopping Experience [*]
"L'anima del nuovo consumatore è un labirinto di emozioni, preferenze, comportamenti, preoccupazioni e fedeltà.
Anche sull'anima di questo nuovo consumatore agiscono molte forze, soltanto una qualità resta invariata: il suo potere" . Questa frase, tratta da "Clienti e Consumatore" di Laurie Windham e Ken Olson [1] , sintetizza ciò che è diventato (o è sempre stato) il consumatore dell'epoca postmoderna: un soggetto emotivo, poco razionale spinto all'edonismo, individualista e anche un po' egoista, capriccioso e bisognoso dell'affetto" dei suoi prodotti preferiti.
Con la voglia di stupire, di stupirsi e, soprattutto, di essere l'unico e indiscusso detentore di ciò che di più prezioso nella società del consumo: Sentendosi unico, esclusivo, privilegiato e cool, egli può finalmente esprimere se stesso (sarà poi proprio cosi?) e integrarsi perfettamente con il suo universo di valori di riferimento preferito. Yoram Wind e Vijay Mahajan hanno definito il consumatore un "centauro" perché si muove con familiarità e autonomia tra atomi e bit, tra luoghi fisici e universi virtuali, trova informazioni in uno per fare acquisti nell'altro nella continua ricerca del vantaggio e della soddisfazione di nuove e pressanti categorie di bisogni.
Anche sull'anima di questo nuovo consumatore agiscono molte forze, soltanto una qualità resta invariata: il suo potere" . Questa frase, tratta da "Clienti e Consumatore" di Laurie Windham e Ken Olson [1] , sintetizza ciò che è diventato (o è sempre stato) il consumatore dell'epoca postmoderna: un soggetto emotivo, poco razionale spinto all'edonismo, individualista e anche un po' egoista, capriccioso e bisognoso dell'affetto" dei suoi prodotti preferiti.
Con la voglia di stupire, di stupirsi e, soprattutto, di essere l'unico e indiscusso detentore di ciò che di più prezioso nella società del consumo: Sentendosi unico, esclusivo, privilegiato e cool, egli può finalmente esprimere se stesso (sarà poi proprio cosi?) e integrarsi perfettamente con il suo universo di valori di riferimento preferito. Yoram Wind e Vijay Mahajan hanno definito il consumatore un "centauro" perché si muove con familiarità e autonomia tra atomi e bit, tra luoghi fisici e universi virtuali, trova informazioni in uno per fare acquisti nell'altro nella continua ricerca del vantaggio e della soddisfazione di nuove e pressanti categorie di bisogni.
Il consumatore "centauro" cerca soprattutto:
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Che cosa si aspetta veramente i1 "centauro" quando chiede maggiore customerizzazione?
Per rispondere a questa domanda Wind e Mahajan enunciano un paradosso: soddisfare i bisogni del maggior numero di singoli proponendo una personalizzazione di massa. "La tecnologia della personalizzazione di massa sembra pensata per ridurre o eliminare il divario tra la richiesta del cliente di disporre di un numero maggiore di opzioni e l'esigenza del produttore di avere maggiore efficienza. Più che creare un prodotto per ogni specifico cliente, la tecnologia della personalizzazione offre ai clienti la possibilità di acquistare prodotti `su misura' che in passato erano appannaggio delle elitè a un prezzo di poco superiore rispetto ai prodotti di massa". [2]
In breve, la formula proposta consiste nel consentire ai clienti di accedere al "catalogo" dei prodotti, verificare le opzioni disponibili, valutare le combinazioni possibili e chiedere all'azienda di predisporre il bene cosi assemblato per l'acquisto finale. E' evidente il ruolo chiave di Internet quale veicolo di cataloghi e di potenzialità di interazione. L'obiettivo, secondo gli autori, e di accrescere il livello di soddisfazione del cliente e predisporlo ad altre esperienze. (...)
Per rispondere a questa domanda Wind e Mahajan enunciano un paradosso: soddisfare i bisogni del maggior numero di singoli proponendo una personalizzazione di massa. "La tecnologia della personalizzazione di massa sembra pensata per ridurre o eliminare il divario tra la richiesta del cliente di disporre di un numero maggiore di opzioni e l'esigenza del produttore di avere maggiore efficienza. Più che creare un prodotto per ogni specifico cliente, la tecnologia della personalizzazione offre ai clienti la possibilità di acquistare prodotti `su misura' che in passato erano appannaggio delle elitè a un prezzo di poco superiore rispetto ai prodotti di massa". [2]
In breve, la formula proposta consiste nel consentire ai clienti di accedere al "catalogo" dei prodotti, verificare le opzioni disponibili, valutare le combinazioni possibili e chiedere all'azienda di predisporre il bene cosi assemblato per l'acquisto finale. E' evidente il ruolo chiave di Internet quale veicolo di cataloghi e di potenzialità di interazione. L'obiettivo, secondo gli autori, e di accrescere il livello di soddisfazione del cliente e predisporlo ad altre esperienze. (...)
Grazie a questo utilizzo brillante della rete, Levi's ha ottenuto due risultati: dare la sensazione ai propri clienti di poter "ordinare" un capo su misura (cosa naturalmente non vera) aumentandone la soddisfazione e la fedeltà, e ridurre le scorte di magazzino, potendo contare su una programmazione degli ordini legata alle prenotazioni.
Ma la customerizzazione non e solo un mero espediente tecnologico che consente di personalizzare i processi produttivi ottenendo vantaggi evidenti per l'azienda e i propri clienti. E anche un modo per accrescere il livello di interazione di marketing e aumentare il grado di intimità con i Clienti. La differenza fondamentale tra personalizzazione e customerizzazione, sottolineano Wind e Mahajan, sta nel fatto che la prima "e ciò che l'azienda fa per cercare di adattare il prodotto o il servizio al consumatore. |
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Per esempio, Amazon puo offrire sul web una pagina personalizzata con consigli d'acquisto basati sulle scelte effettuate in precedenza dal cliente [...] in questo caso da parte del consumatore si tratta di un processo per lo più passivo". [3]
Invece, la customerizzazione e un'azione che il consumatore svolge per se stesso, agendo direttamente all'interno della "fabbrica" utilizzando strumenti e modalità di lavoro propri dell'azienda che lo ospita. Per esempio, "la Dell permette ai suoi acquirenti di assemblare autonomamente i vari componenti per creare il proprio computer", spiegano Wind e Mahajan.
In realtà ciò che i consumatori sembrano apprezzare di pin dell'interazione con l'azienda none la scelta tra le varie opzioni di personalizzazione messe a disposizione, come avviene in molti siti di home banking che danno ampie opportunità di personalizzazione all'interno di un numero definito di opzioni.
"Molti consumatori sembrano pin interessati a quello che possono fare loro con l'azienda che a quel che l'azienda può fare per loro. L'essenza della customerizzazione sta nella coproduzione tra azienda e consumatore."
Questa precisazione ci porta a pensare a un rapporto che si consolida nel tempo, che vive di scambi continui di informazioni e di esperienze, giocato su un piano di parità e di collaborazione. In tale prospettiva e evidente come la relazione tra le due parti giunga a essere sempre più stretta, se non addirittura intima. Ed è a questo punto che si manifesta un altro importante carattere del consumatore "centauro": una domanda pressante di vicinanza ed empatia.
In realtà ciò che i consumatori sembrano apprezzare di pin dell'interazione con l'azienda none la scelta tra le varie opzioni di personalizzazione messe a disposizione, come avviene in molti siti di home banking che danno ampie opportunità di personalizzazione all'interno di un numero definito di opzioni.
"Molti consumatori sembrano pin interessati a quello che possono fare loro con l'azienda che a quel che l'azienda può fare per loro. L'essenza della customerizzazione sta nella coproduzione tra azienda e consumatore."
Questa precisazione ci porta a pensare a un rapporto che si consolida nel tempo, che vive di scambi continui di informazioni e di esperienze, giocato su un piano di parità e di collaborazione. In tale prospettiva e evidente come la relazione tra le due parti giunga a essere sempre più stretta, se non addirittura intima. Ed è a questo punto che si manifesta un altro importante carattere del consumatore "centauro": una domanda pressante di vicinanza ed empatia.
La vicinanza empatica, più della ricerca della personalizzazione, è forse il driver più sentito e importante nella costruzione di un rapporto tra azienda e cliente connotato dalla fiducia. Nella ricerca spasmodica di nuovi spazi di mercato da occupare, indipendentemente dal fatto che si tratti di market share o di mind share, le aziende rischiano di perdere di vista la dimensione empatica del rapporto con i loro clienti. Luca Pellegrini, docente di Economia e Marketing all'Università IULM di Milano, riflette proprio su tale rischio quando afferma che "le grandi marche di largo consumo devono recuperare empatia, vicinanza con il loro cliente". [4]
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PWC: "The future of retail |
Non basta sviluppare una forte pressione pubblicitaria sulle televisioni generaliste per consolidare tale rapporto, ma sempre secondo Pellegrini occorre indirizzare gli sforzi per creare una maggiore vicinanza con i clienti, creando "se non una personalizzazione del prodotto, spesso molto difficile, almeno una personalizzazione della comunicazione. La strada none percorribile con gli spot televisivi che colpiscono tutti e, poichè tutti sono consumatori del prodotto, finiscono per dover richiamare un minimo comune denominatore sempre più elementare: perdendo empatia". L'empatia richiamata da Pellegrini, parimenti all'involvement di Morace, che esprime il concetto di pieno coinvolgimento nell'esperienza che si sta vivendo, una delle priorità per il marketing che si trova costretto a recuperare tale dimensione agendo, crediamo proprio, sulla leva delle emozioni.
"Il rapporto con i consumatori si è arricchito di nuovi livelli di scambio e la pubblicità televisiva non basta più a trasmettere i valori della marca e dell'azienda ai propri clienti."
"Il rapporto con i consumatori si è arricchito di nuovi livelli di scambio e la pubblicità televisiva non basta più a trasmettere i valori della marca e dell'azienda ai propri clienti."
La componente affettivo-emozionale e, quindi, importante non solo per la costruzione della memoria, ma costituisce anche un canale dinamico attraverso il quale le emozioni sono in grado di modulare e consolidare i processi dell'esperienza nella memoria. Ciò potrebbe voler dire che vale la pena di tentare di far conoscere i prodotti ai consumatori non solo attraverso la normale comunicazione razionale, ma anche sfruttando approcci che utilizzino la sfera affettivo-emozionale come canale alternativo, interattivo e compresente di comunicazione, anche grazie ai percorsi di sintonizzazione affettiva, pattern emozionali di cui i diversi individui sono portatori, e sfruttando strumenti differenti come la metafora, l'analogia, la risonanza affettiva, la dimensione empatica, l'interiorizzazione condivisa e la riflessione partecipativa sugli eventi.
La televisione, anzi gli schermi LCD, fanno ormai parte della comunicazione nei luoghi del commercio, inaugurando l'era del digital signage. "La diffusione del digital signage", spiega Daniele Tirelli, "consente l'affrancamento delle aziende commerciali dai canali di comunicazione classici: affissioni, stampa e televisione. Permette loro di dotarsi di propri media e con essi dialogare con la propria clientela sul territorio" [5]
La televisione, anzi gli schermi LCD, fanno ormai parte della comunicazione nei luoghi del commercio, inaugurando l'era del digital signage. "La diffusione del digital signage", spiega Daniele Tirelli, "consente l'affrancamento delle aziende commerciali dai canali di comunicazione classici: affissioni, stampa e televisione. Permette loro di dotarsi di propri media e con essi dialogare con la propria clientela sul territorio" [5]
Che si tratti di un salto tecnologico fondamentale per il retail non ci sono dubbi, infatti Wal-Mart, la prima catena distributiva del mondo, alla fine del 2008 ha lanciato il proprio circuito "Smart Network" di schermi televisivi.
"Il digital signage", afferma Tirelli, e "una comunicazione visuale e verbale che potrà concedersi, a differenza del passato, di essere raffinata o volgare, didascalica o simbolica a seconda degli ambienti a cui e destinata e che, al pari dei mosaici di Sant'Apollinare Nuovo, potrà raccontare le storie edificanti delle merci e degli eroi che le rappresentano» [6].
Storie, ecco la chiave del connubio tra retail e televisione.
Lo storytelling e una caratteristica di entrambi: il punto di vendita racconta la storia dei prodotti e la televisione costruisce e diffonde le trame narrative di cui si nutre la pubblicità dei prodotti.
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... Pubblicità in "Minority report" è fantascienza? |
L'ingresso della televisione nei punti di vendita potrà portare a una semplificazione del linguaggio della comunicazione. Non esistono un dentro (il punto di vendita) e un fuori (il mondo esterno); le barriere architettoniche e mentali che separano i luoghi sono cadute. Siamo di fatto immersi in un continuum di comunicazione ed esperienza nel quale i segni che una volta identificavano i luoghi in modo univoco (le scale mobili per i centri commerciali, il bancone del bar, i negozi di abbigliamento, i ristoranti) adesso sono segnali che operano continui rimandi da un luogo all'altro, al punto che molto probabilmente tra pochi anni non avrà più senso assegnare etichette specialistiche ai luoghi perchè ognuno tende ad essere contaminato da tutti gli altri. "In questa direzione" afferma Valeria Bucchetti "vanno lette le nuove visioni del retail attorno alle quali si prospetta [...] per esempio la riorganizzazione dei punti di vendita secondo tipologie diverse" [7]
Quali sono queste tipologie diverse»?
Sono i punti di vendita che cambiano pelle e diventano esperienziali, ovvero pongono al centro del loro modello di business l'interazione, la semplicità e l'engagement, immersione — continua Bucchetti — coinvolgimento, emozione sono forme di interazione che intendono andare al di là di quanto suggerito dagli oggetti esposti, dal valore comunicativo intrinseco delle merci, il più delle volte ancora organizzate secondo il modello ottocentesco che invitava, all'interno dei primi grandi magazzini, a guardare, toccare, provare, sembrano essere dunque rappresentare la prospettiva verso cui tendere» [8]. |
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Nel 2008 IBM ha pubblicato un Libro Bianco in cui sono riportate alcune interessanti indicazioni sull'esperienza immersiva nei punti di vendita e relativa tecnologia.
Nel Libro Bianco si dice che «le esperienze veramente immersive — che connettono con gli acquirenti a livello emozionale attraverso dialoghi personalizzati e che danno loro un controllo più grande sull'esperienza dello shopping — sono la nuova frontiera nel retailing.
Nel Libro Bianco si dice che «le esperienze veramente immersive — che connettono con gli acquirenti a livello emozionale attraverso dialoghi personalizzati e che danno loro un controllo più grande sull'esperienza dello shopping — sono la nuova frontiera nel retailing.
L'esperienza del retail immersivo si concentra molto più sul coinvolgere il Cliente che sulla mercanzia ...
Compagnia del Marketing progetta oggi i Contenuti e le piattaforme per |
Pensa ai negozi all'aperto che forniscono sentieri e
ruscelli simulati per provare l'equipaggiamento, o i negozi di elettrodomestici con cucine di prova dove i clienti possono provare
effettivamente come funzionano i prodotti.
In altre parole, i negozi in molti settori del retail [...] e diventare una destinazione [...] le soluzioni di tecnologia immersiva — che stimola i sensi della gente per connettere con gli acquirenti su un livello emozionale per creare esperienze di shopping indimenticabili — possono aprire un nuovo mondo di rivitalizzanti esperienze di shopping. Questo, combinato a dei modelli di business flessibili e reattivi, ha il potenziale di trasformare il modo in cui i clienti interagiscono col vostro brand.
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Il libro bianco di IBM «esplora come le tecnologie immersive e le strategie di business possono creare un brand che generi rinnovato interesse per il vostro negozio, esaminando anche la visione di IBM sulle tecnologie immersive» [9]
estratto da > F. Gallucci, “MARKETING EMOZIONALE E NEUROSCIENZE” cap. 7, Egea, 2011 |
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[1] L. Windham, K. Orton, Clienti e consumatori, Milano, Apogeo, 2002. Cornell University, Levis' case "the Made-to-Measure" |
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